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1° RADUNO DEI MONTI TIFATINI 4X4 ADVENTURE

 

ANNO 2004

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CASERTA
La storia del Capoluogo della provincia omonima, conosciuta anche con il nome di Terra di Lavoro è localizzata ai margini della Pianura Campana e ai piedi dei rilievi del Subappennino campano. La fertilità dei terreni vulcanici e di quelli di bonifica sui quali sorge la città, favorisce l'agricoltura, che costituisce tuttora la principale risorsa economica della provincia, benchè sia in fase di declino per l'affermarsi dell'industria e delle attività terziarie.

La città sorse su pianta a scacchiera, su di una collina, dove è situata la grande residenza reale, la Reggia di Caserta, proprietà di Carlo III di Borbone, costruita da Luigi Vanvitelli e dal figlio Carlo. L'edificio, di notevole bellezza, presenta una pianta rettangolare con quattro cortili interni e due facciate monumentali di tipo classicheggiante. Nel Palazzo i Borbone tenevano corte in primavera e autunno, intrattenendo i nobili e i visitatori illustri negli immensi saloni neoclassici. Il Vanvitelli realizzò il progetto del parco, costituito da fontane, cascate e vasche con gruppi scultorei decorativi, un vero spettacolo. Storia Caserta fu probabilmente fondata dai Longobardi di Capua agli inizi del VIII secolo.

All'inizio faceva parte del ducato di Benevento, in seguito fu incamerata dai conti di Capua. Fu eretta a contea nella prima metà del XII secolo da Ruggero II. Passò in seguito sotto il dominio della famiglia d'Aquino, degli Angioini, dei Severino, dei Ribulsi e dei Della Ratta. Nel 1544 fu eretta a principato con gli Acquaviva di Aragona, nel 1635 passò ai Caetani di Sermoneta che, nel 1750, lasciarono il principato ai Borbone. Infine nel 1927 si aggregò alla provincia di Napoli.
POZZOVETERE E FONTE LINARA

Già nel 438 a.C., si fa cenno ad una fonte situata su  un colle delle alture casertane (Monte Giove) e le cui acque incanalate raggiungono il tempio di Giove Tifatino,

Notizie certe si hanno nel 1479 quando Francesco III della Ratta, Conte di Caserta, restituisce al Vescovo di Caserta (vecchia), Giovanni De Leoni Galluccio, i fondi di Puccianiello e Pozzovetere.

La borgata, situata a 340 metri s.l.m., si estende in mezzo al verde con un'enorme ricchezza d'acqua sorgiva, di cui è famosa la fonte Linara, meta costante di visitatori per la sua acqua leggera e ricca di ferro.

La tradizione orale vuole che il nome del piccolo centro abitato derivi da un «pozzo vecchio» (latinizzato in Pozzovetere). Memoria di questo pozzo si ha nella tradizione locale che ricorda il passaggio di Sant'Alfonso, vescovo di S.Agata dé Goti, diretto a Capua, sede del Vescovo Metropolita, attraverso la strada dei Giardoni - Pozzovetere - Casertavecchia. Il Santo avrebbe fatto sosta presso l'antico pozzo per ristorarsi e far rifocillare il suo cavallo.

L'architettura tipica dell'abitato antico presenta un tipo di edilizia rurale con corte rurale munita di portone centrale d'accesso, giardino retrostante e finestre che affacciano sulla strada.

 

 

 

Castel Morrone
fu abitato fin dai tempi degli Osci, ancora oggi sono visibile le mura chiamate dalla popolazione locale le mura delle fate, cinte di un città o di un grande accampamento militare, edificata su tre collinette, con un perimetro di tre chilometri per un lunghezza di novecento metri.


Degli Osci non ci sono tracce sicure mentre numerose testimonianze riportano ai Romani: Cinque pietre scolpite, provenienti probabilmente da un tempio o da un ara funeraria, oltre al basamento di due abitazioni, e a numerose tombe scoperte nel territorio di Castel Morrone.

La valle di Morrone servi’ ad Annibale quando, ritornando dall'assedio di Taranto, vi nascose parte del suo esercito, prima di recarsi a Capua per conoscere se questa città (all'epoca la più grande del sud Italia), gli fosse rimasta fedele, o fosse passata ai Romani.

Il Castello situato sul monte della Misericordia, è la più importante costruzione nel Medioevo di Castel Morrone, risalente all’ epoca Normanna quando le guerre fra feudatari, e le scorrerie dei Saraceni, crearono la necessita’ di arroccarsi su un monte, tra mura ben difese. Durante il medioevo Morrone  non ancora preceduta da Castel  (lo sarà nel XIX secolo passo’ attraverso diversi signori. Il 1 ottobre 1860, duecentocinquanta garibaldini, guidati da Pilade Bronzetti, non consentirono il passaggio ad una parte dell'esercito borbonico, che cercava di raggiungere Caserta e di spezzare in due l'esercito di Garibaldi, durante la battaglia del Volturno, permettendo all'eroe dei due mondi, di vincere , e quindi, di sottrarre il Regno di Napoli ai Borboni, e di farlo entrare nel Regno d'Italia riunito sotto la bandiera Sabauda.

Questo episodio, fu messo in gran risalto dallo stesso Garibaldi, che definì la resistenza di Bronzetti, pari a quella di Leonida e dei Fabi, permettendo quindi a Castel Morrone, di fregiarsi dell'appellativo di Termopili d'Italia. Castel Morrone fu anche teatro della marcia su Roma: i fascisti del Casertano, si ritrovarono sulla collina del Termine, da dove partirono alla conquista della capitale.

Durante la seconda guerra mondiale ,dopo l'armistizio, un partigiano, ammazzò un soldato tedesco.La reazione portò alla deportazione di oltre duecento tra donne e bambini, che condotti da due soldati, attraversarono il fiume, e furono poi abbandonati a Caiazzo.
 

Il Comune di Castel Morrone si estende su di un territorio prevalentemente collinare di circa Ha 2.535 e dista 10 km da Caserta. L’abitato, suddiviso in piccoli centri, si sviluppa ai piedi del Monte Madonna della Misericordia (429 m s.l.m.), lungo una vallata che si estende per 10 km circa.Nascosto tra queste colline è presente un fenomeno geologico raro in Italia meridionale, soprattutto per dimensione che ha dato luogo a tre macroforme carsiche tecnicamente definite “Doline da crollo” e precisamente Comola grande, Comola piccola, Comola “Lampa”.
 

 

Le "Comole" di Castel Morrone

sono tra i fenomeni carsici più interessanti.
Sono composte da due crateri siti sul fianco di una collina chiamata Monte Fioralito, al centro della catena dei monti tifatini.

Possono essere la meta di una interessante e piacevole passeggiata campestre che non presenta particolari difficoltà.
Si può lasciare l'auto sulla strada che porta a Castel Morrone in località "Masseria di Monte Coppa" (quota m.323) e seguire un sentieroè appena abbozzato.

LA COMOLA PICCOLA

Una volta scavalcato il Monte (quota m.394), si piega leggermente a destra verso ovest e si incontra la "COMOLA PICCOLA" a quota 264 m.

Questo cratere richiede la massima attenzione perché è ricoperto da una fitta vegetazione arbustiva, per cui è difficile individuarlo e, pertanto, pericolosissimo perché può capitare di trovarsi improvvisamente sul ciglio col rischio di precipitare.

Questa Comola è a forma di damigiana con un'apertura di circa 30 metri di diametro, è profonda circa 100 metri mentre il fondo a caverna è di una larghezza che sfiora i 50 metri di diametro ed una superficie di oltre 1250 mq.

LA COMOLA GRANDE

Questa Comola, seppur meno pericolosa della precedente, è certamente più spettacolare perché crea una forte emozione trovandosi davanti ad un enorme cratere che spacca letteralmente il fianco della collina per circa 250 m. di diametro, con una circonferenza di quasi 800 m. ed una profondità che va dagli oltre 280 m., misurata al ciglio superiore, ai circa 150 del ciglio inferiore.

Le comole sono state esplorate dal Gruppo Speleologìco del Matese.
Il Prof. Pietro Parezan giudicò la comola grande come come "La dolina da crollo più vaste d'Italia".
Nel 1996, per il grande interesse florofaunistico, l'intera zona è stata posta sotto protezione con vincolo del Ministero dell'Ambiente.

Il fondo è aspro e la vegetazione è ridotta a muschio e licheni anche se non manca di una pozza d'acqua, impossibile da raggiungere.
Sicché, ancor prima di scendere, una volta posizionati nella parte inferiore, ci si trova davanti ad una parete di oltre 130 m. di altezza.
A circa mezza costa, si trova traccia appena percettibile di un sentiero che porta sul fondo dove si ha netta l'impressione di scendere nelle viscere della terra.

Le pareti della Comola Grande una volta erano territorio esclusivo di gracchi, altrimenti detti cornacchie, che vi nidificavano a migliaia con grande danno alle culture circostanti, in particolare quelle di granoturco.
Nelle tane del fondo vi dimoravano le volpi che si cibavano prevalentemente di cornacchie.
Ancora oggi, con i dovuti accorgimenti, non è difficile avvistarne qualcuna.
Oggi le conacchie hanno perduto la supremazia del luogo per cui le pareti della Comola ospitano molte varietà di volatili a seconda delle stagioni, come falchi, beccacce, piccioni selvatici ed, appunto, gracchi.

 

 

 

 

 

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